Domanda - Federalberghi indica un sommerso minimo di 110.000 appartamenti dal confronto Airbnb/Istat, con una crescita molto alta del numero di appartamenti sul portale, anche a Milano. Quale la situazione reale?
- 10.814 (66,83%) riferiti ad interi appartamenti;
- 9.444 (58,37%) disponibili per più di sei mesi;
- 6.811 (42,09%) gestiti da host che mettono in vendita più di un alloggio.
fonte: elaborazioni Federalberghi / Incipit srl su dati Inside Airbnb
Quindi:
- non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare: la maggior parte degli annunci pubblicati su Airbnb si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno;
- non è vero che si tratta di attività occasionali: la maggior parte degli annunci si riferisce ad appartamenti disponibili per oltre sei mesi all’anno;
- non è vero che si tratta di forme integrative del reddito: sono attività economiche a tutti gli effetti, che molto spesso fanno capo ad inserzionisti che gestiscono più alloggi;
- non è vero che le nuove formule compensano la mancanza di offerta: gli alloggi presenti su Airbnb sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche, dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali, come si evince dalla mappa Airbnb su Milano.
Ne consegue che il consumatore è ingannato due volte: viene tradita la promessa di vivere un’esperienza autentica e vengono eluse le norme poste a tutela del cliente, dei lavoratori, della collettività, del mercato.
E' inoltre importante sottolineare che vengono danneggiate tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza.
Purtroppo ad oggi a Milano risultano registrati solo una minima parte di questi appartamenti, meno del 10%.
Domanda - La soluzione individuata dalla Legge regionale lombarda che le equipara alle CAV, risolve "l'equivoco" delle locazioni turistiche?
Maurizio Naro - L'equiparazione risolve in parte l'equivoco confermando che, entrando nel mercato turistico, vanno seguite e rispettate alcune regole generali quali le comunicazioni alla Questura dei nominativi degli alloggiati come pure il pagamento della tassa di soggiorno.
Manca ancora un tassello importante: l'obbligo di pubblicare su ogni mezzo di comunicazione commerciale utilizzato dal proprietario/gestore dell'appartamento il codice identificativo rilasciato dai Comuni. Questo consente da un lato una semplificazione delle attività di controllo dall'altro garantisce il consumatore che l'attività è esercitata secondo le regole.
Domanda - Gli albergatori possono ritenersi soddisfatti del decreto legge in discussione al Parlamento, la cosiddetta manovra Airbnb?
Maurizio Naro - Il decreto legge n.50/2017 va sicuramente nella direzione giusta che, purtroppo, l'allora premier Renzi aveva erroneamente bollato come nuova tassa. E' invece la modalità di far pagare una imposta già presente da tempo nel nostro ordinamento eliminando il rischio che il proprietario si "dimentichi" di inserire tali redditi nella sua dichiarazione.
Anzi, considerato che, come detto prima, molti appartamenti fanno capo ad uno stesso proprietario, la cedolare secca rappresenti uno "sconto" di imposta per persone che hanno aliquote marginali molto più alte. E sicuramente è un'imposta molto inferiore a quella che si trova a pagare l'impresa alberghiera classica.
La manovrina deve però vedere irrobustite le disposizioni relative al regime fiscale delle locazioni brevi, con l'obiettivo di far pagare le tasse a tutti e di proteggere i consumatori, i lavoratori, la collettività.
In primo luogo occorre definire criteri oggettivi in base ai quali accertare la sussistenza di una stabile organizzazione di tipo imprenditoriale (numero di immobili messi a disposizione e periodo di attività).
Poi bisognerebbe promuovere parità di condizioni: se l'attività è imprenditoriale questi appartamenti dovrebbero pagare IMU, Tari e canone tv come le imprese alberghiere.
Per garantire sicurezza deve essere imposta la copertura assicurativa RC, deve essere consentito alle forze dell'ordine l'accesso ai locali dove si svolge l'attività economica e definite regole certe per consentire la presenza di queste attività nei condomini per evitare danni e fastidi ai vicini di casa. Ultimo, le sanzioni devono essere forti e adeguate per evitare che risulti conveniente non rispettare le regole.
Molte città hanno già legiferato in questo senso in quanto prima di noi hanno dovuto affrontare le conseguenze di questa "shadow economy".
L'Italia è l'unico paese con forte vocazione turistica che sta ancora discutendo su come affrontare questo fenomeno con leggi che, se possono sembrare "limitative" ai non addetti ai lavori, in realtà sono volte a tutelare le fasce di popolazione più deboli e che meno possono competere contro le speculazioni.
A San Francisco (dove Airbnb è nata), a New York, ad Amsterdam, a Barcellona, a Berlino, a Parigi, a Londra, ecc. sono state poste delle restrizioni ben più pesanti e vincolanti di quelle che la politica italiana sta discutendo e con sanzioni altissime per chi non è in regola.
Sono città che hanno cominciato a subire gli effetti, talora devastanti, che la sharing economy sta causando a livello sociale: centri storici abitati solo da turisti che porta alla chiusura delle attività di vicinato per mancanza di popolazione locale, prezzi affitti "classici" alle stelle e quindi spostamento delle famiglie giovani e/o meno abbienti in periferia quando non addirittura fuori città, ecc.
I turisti vogliono professionalità, trasparenza e sicurezza. Spesso invece non incontrano nemmeno l'host (tanti sono gli appartamenti con una serratura a tastiera) e spesso non hanno un numero di telefono per le emergenze.