Domanda - Dott. Panzica, ricordiamo innanzitutto che le locazioni turistiche non sono strutture ricettive ma sono contratti di locazione disciplinati dal codice civile.
Saverio Panzica - Si, certamente le locazioni turistiche/brevi sono da inquadrare in modo univoco e inequivocabile, nel contesto delle locazioni.
Il tema dei contratti di locazione per le locazioni turistiche/brevi rappresenta un argomento di estrema attualità, nella considerazione che le locazioni turistiche/brevi rientrano tra i segmenti dell’ospitalità turistica, relativamente agli arrivi e alle presenze degli ospiti, ben 4 volte superiore ai dati delle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere. (FONTI - 2003- Rapporto nazionale del turismo – Regione siciliana – Analisi INTERDIPARTIMENTALE sui flussi turistici nelle isole minori siciliane).
I contratti di locazione turistica/breve possono dunque essere stipulati:
- direttamente dal locatore
- tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione (agenzie immobiliari – agenzie di viaggi)
- tramite portali telematici che mettono in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare
Domanda - Quali sono le fonti di riferimento?
Saverio Panzica - Partiamo dal Codice Civile (LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO II - DEI CONTRATTI IN GENERALE) che, dopo aver indicato l’accordo delle parti tra i requisiti del contratto ai sensi dell’articolo 1325, lo disciplina dettagliatamente negli articoli 1326-1342 che compongono la sezione rubricata appunto “Dell’accordo delle parti”.
Si ha un accordo quando due o più persone manifestano reciprocamente le proprie volontà, e queste sono dirette allo stesso scopo.
Con l’accordo il contratto è stipulato o concluso.
Se però si tratta di un contratto formale o di un contratto reale, il momento della conclusione, a partire dal quale si producono gli effetti, è successivo all’accordo, se è formale, occorre che l’accordo sia manifestato nella forma che la legge richiede, se è reale, occorre che sia consegnata la cosa.
Domanda - Cosa dice la Giurisprudenza?
Saverio Panzica - Un indirizzo interpretativo (NULLITÀ ASSOLUTA DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE NON IN FORMA SCRITTA - CASS. SSUU 18214/15), ritiene essenziale la forma scritta, la cui mancanza sarebbe rilevabile tuttavia dal solo conduttore nell’ipotesi in cui la forma verbale sia stata imposta dal locatore al fine dell’instaurazione del rapporto di locazione (art. 13, comma 5, L. n. 431/1998).
Tale ultima interpretazione è condivisa dalle Sezioni Unite che, dopo aver richiamato la ratio della L. 431/1998 ovvero la "stabilizzazione dei rapporti" ed il "controllo dell’evasione fiscale", precisano tuttavia che la norma contenuta al comma 5 dell’art. 13 L. 431/1998 prevede la sola ipotesi in cui l’instaurazione del rapporto locatizio in forma verbale sia stata pretesa dal locatore, cui è dunque attribuibile la nullità.
Alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite, il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta deve ritenersi affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, stante la ratio sottesa alla normativa di contrasto all’evasione fiscale, fatta eccezione l’ipotesi in cui la forma verbale sia stata imposta dal locatore, in tale ipotesi solo il conduttore potrà far valere l’invalidità del contratto, trattandosi di una nullità di protezione del conduttore. Le SSUU si pronunciano in tema di forma dei contratti di locazione ad uso abitativo e, con l’occasione, delineano in modo chiaro la ratio della nullità assoluta quale sanzione della violazione dell’obbligo di forma scritta dei contratti.
Domanda - Da cosa nasce allora il dibattito?
Saverio Panzica - Il contrasto nasce dalla formulazione (apparentemente) non chiara del dato normativo, l’art. 1, comma 4, L. 09.12.1998 n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), ai sensi del quale "per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta".
Non parlando la norma di "forma scritta a pena di nullità" ma solo di "stipula di validi contratti", parte della giurisprudenza (soprattutto di merito) era orientata per ritenere che la forma scritta fosse richiesta ai fini della prova (ad probationem), quindi che fossero comunque efficaci i contratti stipulati in forma verbale o per fatti concludenti (salve comunque le prescrizioni di forma per i contratti ultra novennali ex 1350 n. 8 c.c.).
Inoltre, secondo alcuni interpreti, in mancanza dell’indicazione espressa, ad es. "a pena di nullità", questa doveva intendersi non come "assoluta" ma come "relativa", anche detta "nullità di protezione", quindi eccepibile solo ad istanza della parte; in questo caso sarebbe stata rilevabile solo dal conduttore, parte debole del contratto.
Componendo il contrasto, la norma viene interpretata in senso rigoroso, sottolineando, anzitutto, che il dato testuale non è poi così dubbio come alcuni interpreti ritengono. Quando la legge esige una forma vincolata, in deroga al principio di libertà delle forme, questa è richiesta ai fini dell’esistenza stessa dell’accordo (ad substantiam actus); la forma scritta, pertanto, non è necessaria solo e nella misura in cui si controverta sul rapporto e quindi sia necessario fornirne la prova, ma è necessaria affinché l’accordo medesimo sia valido.
Il dato normativo fa assurgere la forma scritta ad elemento essenziale dell’accordo, o meglio a "requisito del contratto" ai sensi dell"art. 1325 n. 4 c.c.; di tal che, in sua mancanza, il contratto è nullo ai sensi dell"art. 1418, comma 2, c.c.. Tuttavia la S.C. precisa che la nullità in questione debba intendersi "di protezione" soltanto quando la forma verbale (quindi il contratto "in nero") sia stato imposto dal locatore-parte forte del contratto, che unilateralmente abbia imposto la propria volontà al conduttore-parte debole; in altre parole, tale ragionamento non vale qualora la forma verbale sia stata consensualmente pattuita da entrambe le parti, in questo caso il contratto sarebbe nullo.
La dottrina, quasi all’unanimità, ritiene che la L. 431 richieda la forma scritta a pena di nullità, così come la giurisprudenza di merito sostiene, appunto, che tale forma sia richiesta ab substantiam. In sostanza, il conduttore è tenuto a provare la “violenza morale” subita e dunque l’abuso: in tal caso il contratto sarà nullo, ma la nullità è da intendersi come relativa e cioè azionabile esclusivamente da parte del conduttore. Diversamente, ove la forma orale sia liberamente concordata, la nullità deve ritenersi assoluta, rilevabile d’ufficio e non sanabile. Sembra di capire che per le Sezioni Unite l’abuso non può ritenersi presunto ex lege, in ragione dello squilibrio di potere contrattuale sussistente tra locatore e conduttore, ma deve invece essere provato.
Domanda - Per forma scritta si intende anche la mail?
Saverio Panzica - Il Codice dell’Amministrazione Digitale(cd. CAD) di cui al D. Lgs. 82/2005 e successive modificazioni ci consente di sciogliere la preliminare questione relativa all’inquadramento giuridico dell’e-mail.
Per i contratti di locazione breve stipulati attraverso intermediari rileva il momento in cui il conduttore riceve conferma della prenotazione dall’intermediario. Quest’ultima, infatti, può essere ricondotta nella categoria dei cd. documenti informatici, in ragione della definizione che di essi viene fornita all’art. 1, 1° comma, lett. p) del suddetto Codice quale «rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti». Art. 2712 c.c. Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Secondo questo primo orientamento la mail vale come prova solo se il mittente non afferma il contrario. Se ciò accade, il messaggio email non ha alcun valore legale – diviene ciò che comunemente chiamiamo “carta straccia”.
Secondo un differente orientamento, invece, l’e-mail è da considerare, a tutti gli effetti, un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice, come tale liberamente valutabile dal giudice sia in ordine all’idoneità della medesima a soddisfare il requisito della forma scritta, sia per ciò che concerne il suo valore probatorio, ai sensi degli artt. 20, comma 1-bis e 21, comma 1, D.Lgs. 82/2005. Art. 20 comma 1-bis “L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21. 21 comma 1 “Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”.
Tale impostazione si giustifica alla luce del fatto che lo user id e la password utilizzati per accedere alla casella di posta elettronica sono considerati mezzi di identificazione informatica e come tali rientranti nella definizione di firma elettronica data dal legislatore. D.lgs. n. 82 del 2005, art. 1, comma 1, lettera q) “firma elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”.